L’avviso del Mef per ricevere consulenze gratuite da figure ad alte professionalità non è solo di cattivo gusto, perché il lavoro va sempre retribuito, ma è anche e soprattutto illegittimo.
Il 27 febbraio 2019 è stato pubblicato un avviso per incarichi della durata di due anni per svolgere attività di consulenza al Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef). Lo scopo è individuare professionisti con competenze in materia di diritto bancario, societario e dei mercati finanziari, senza tuttavia prevedere per loro alcun compenso.
Figure ad alta professionalità con percorsi accademici consolidati e curriculum professionale anche a livello europeo. È scritto infatti nel bando: «La direzione generale “Sistema bancario e finanziario-Affari legali” del dipartimento del Tesoro intende avvalersi per un supporto tecnico a elevato contenuto specialistico nelle materie di competenza della consulenza a titolo gratuito di professionalità altamente qualificate. La consulenza avrà a oggetto la trattazione di tematiche complesse attinenti al diritto – nazionale ed europeo – societario, bancario e/o dei mercati e intermediari finanziari in vista anche dell’adozione e/o integrazione di normative primarie e secondarie ai fini, tra l’altro, dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari».
Solo pochi mesi fa, è stata ottenuta la prima affermazione giudiziale dell’equo compenso nei rapporti tra avvocati e pubblica amministrazione.
È illegittimo il bando che prevede compensi pari a zero. Lo ha chiarito il Collegio del TAR Campania, sovvertendo l’opposto orientamento del Consiglio di Stato, stabilendo che le esigenze di riequilibrio finanziario debbano armonizzarsi con altri principi fondamentali dell’azione amministrativa, tra cui quelli di ragionevolezza e di proporzionalità nonché, nella fattispecie, quello di equo compenso per le prestazioni professionali.
L’equo compenso è un «principio» vincolante al pari di altri che sono alla base della corretta azione amministrativa, tra cui quello del «riequilibrio finanziario». Ed è, dunque, non più derogabile. Ad affermarlo a chiare lettere è stata proprio la prima sezione del Tar Campania, con l’ordinanza pubblicata il 25 ottobre, che ha accolto il ricorso presentato da ben 106 avvocati contro il Comune di Marano. La pronuncia del giudice amministrativo di fatto vincola con un ulteriore puntello gli enti locali a riconoscere all’avvocato compensi rispettosi del decoro e della dignità professionale. Obbligo previsto appunto dalle norme sull’equo compenso, in particolare dal terzo comma dell’articolo 19- quaterdecies inserito nella legge professionale forense dalla Legge di bilancio 2018.
I 106 avvocati avevano dunque contestato «prescrizioni» e «disposizioni tariffarie» definite dal Tar «immediatamente lesive per i ricorrenti», giacché avrebbero imposto loro «l’assunzione di un impegno ad accettare condizioni economiche inadeguate». Di grande rilievo, la valutazione pronunciata seppur in via cautelare dai magistrati amministrativi, anche considerato che vi si coglie l’insostenibilità di una prassi radicatasi per anni negli enti locali: quella di prevedere compensi finanche “a zero euro” per gli incarichi forensi e professionali in genere.
Quel principio, fissato pochi mesi fa dal TAR Campania, deve applicarsi oggi al caso del Mef perché riguarda non solo gli Avvocati, ma tutti i professionisti. L’OCF si batterà anche stavolta per far valere al meglio i diritti e gli interessi di tutti i professionisti di fronte a bandi lesivi della dignità della professione e in contrasto con i principi enunciati nella normativa sull’equo compenso.