In occasione del prossimo appuntamento elettorale del 25 settembre e proprio nelle ore in cui si stanno decidendo alleanze e programmi, l’Organismo congressuale forense scrive una lettera alle forze politiche per ricordare quali siano le tappe fondamentali del corso riformatore e lancia un accorato appello per difendere e tutelare la giustizia al di là del consenso immediato e di facili populismi.
Di seguito il testo integrale.
L’Organismo Congressuale Forense (eletto dal Congresso Nazionale Forense in attuazione di quanto previsto dall’art. 39 della legge 247/2012) esercita iniziativa politica in nome dell’Avvocatura italiana; tra l’altro, ed in particolare, si adopera per l’affermazione e la tutela dei diritti e per conseguire il più efficace funzionamento della giurisdizione e dell’organizzazione dei servizi giudiziari.
Non è nostro compito valutare le ragioni che hanno portato alla recente crisi di governo ed allo scioglimento delle Camere, ma piuttosto prenderne atto ed indicare, a chi si propone di costituire il nuovo Parlamento e governare il Paese, la nostra idea sulle riforme volte ad ottenere una Giustizia che sia innanzitutto giusta, poi accessibile, affidabile e celere e, quindi, effettiva, nel rispetto del principio sancito dall’art. 111 della nostra Costituzione.
Nell’ultimo anno della legislatura, Governo e Parlamento sono stati sostanzialmente impegnati a dare attuazione ai progetti previsti dal PNRR ed è indubbio che la “battuta d’arresto” toglie serenità al corso riformatore della giustizia civile e penale e dell’ordinamento giudiziario, adesso in mezzo al guado, strette tra una frettolosa approvazione dei decreti legislativi, con significativi dubbi di costituzionalità perché mortificherebbe il passaggio parlamentare, ed una sospensione che determinerebbe lo scadere dei termini previsti dalle leggi di delega.
L’Avvocatura, sebbene in tutte le sue componenti abbia più volte denunciato limiti e criticità del progetto riformatore, cionondimeno, responsabilmente, comprende il carattere preclusivo assunto dall’iter riformatore nel “comparto giustizia” rispetto all’intero PNRR. Per questo riteniamo che l’impasse debba essere superata evitandosi, però, di dare attuazione a quei principi di delega che comprimono, sia nel processo civile che in quello penale, le garanzie della difesa ed il rispetto effettivo del contraddittorio.
Per quanto riguarda invece la legge delega sull’ordinamento giudiziario, rispetto alla quale l’iter di attuazione è appena iniziato, ci attendiamo un formale impegno a non lasciar cadere la delega, attivando tempestivamente le commissioni ministeriali che dovranno redigere i decreti legislativi, auspicando che in dette commissioni sia prevista una adeguata presenza di componenti di O.C.F. e delle altre rappresentanze forensi, per evitare il ripetersi della marginalizzazione del punto di vista dell’avvocatura, che è poi quello della comunità e della società che noi avvocati rappresentiamo nelle aule di giustizia. Confidiamo, inoltre, che la politica trovi la forza di proseguire nel percorso della riforma dell’ordinamento giudiziario fino alla conquista di un’effettiva terzietà del giudice (attraverso la definitiva separazione delle carriere requirenti da quelle giudicanti) ed al riconoscimento della legittima richiesta delle Istituzioni forensi di compartecipare alla concreta organizzazione e gestione dei servizi giudiziari, a livello sia ministeriale che territoriale.
Gli argomenti sul tappeto sono anche molti altri.
- C’è il tema dell’equo compenso il cui progetto di legge era oramai prossimo approvazione parlamentare: si tratta di un provvedimento assolutamente necessario per assicurare la qualità della giustizia quando di fronte al cittadino si parano i potentati economici o istituzionali. Non è una battaglia corporativa ma di assoluta civiltà.
- C’è, poi, il tema della giustizia complementare, ossia di tutto quel comparto che alleggerisce l’apparato giudiziario e che va affidato alla crescente esperienza e responsabilità dell’avvocatura. In questo ambito troviamo tutti gli organismi di mediazione che offrono la garanzia della competenza giuridica dell’avvocato, così come i vari strumenti di composizione della crisi che l’avvocatura sta dando prova di saper gestire. Infine, la valorizzazione di tutte quelle attività sussidiarie della giurisdizione, ad esempio nei settori della volontaria giurisdizione e di tutela dei soggetti deboli, nei quali l’Avvocatura da tempo si muove come un corpo sociale massimamente responsabile.
- C’è, ancora, il tema della tecnologia, dentro il processo e nel rapporto tra l’organizzazione giudiziaria e le altre articolazioni statali. La transizione digitale, che è uno degli snodi sottostanti al PNRR, deve trovare una meno timida capacità di penetrazione nel mondo giudiziario. Con questo non si allude all’automazione delle decisioni, che anzi dovrà vedere un impegno formale della politica affinché la sua sola eventualità sia scongiurata. Ci riferiamo, invece, alla profanazione di quella specie di templi sacri che sono i Ministeri, ciascuno dei quali custodisce una piattaforma processuale diversa, incurante dell’incapacità che i sistemi informatici hanno di parlare tra di loro. Per assurdo, è più facile per una cancelleria dialogare telematicamente con un ufficio comunale che con un’altra cancelleria. Tecnologia vuol dire dati e la carta vincente non è scovare l’ultima diavoleria informatica (tanto quella arriva da sé), ma riuscire a renderne trasparenti i percorsi evitando di fare prima la legge e poi studiarne il possibile impatto e doverne cercarne i rimedi; si tratta di una grave patologia perché il sistema dovrebbe funzionare esattamente al contrario: prima si valuta l’impatto e poi si fa la legge.
Molto altro ancora avremmo da prospettarVi e lo faremo, più articolatamente e compitamente, nel prossimo Congresso Nazionale Forense, che si terrà a Lecce dal 6 all’8 ottobre, pochi giorni dopo che il nuovo Parlamento sarà stato eletto.
Per il momento, nel mentre le Vostre campagne elettorali stanno entrando nel vivo, Vi ricordiamo che in materia di Giustizia ci vuole coraggio, e noi ve lo chiediamo; ma ci vuole anche sincerità, perché si abbandoni la scusa del non fare perché “si tratta di scelte divisive”.
La nostra Costituzione, è una carta di valori, voluti ed affermati dai nostri padri costituenti non solo come reazione alla dittatura ed all’oppressione fascista ma soprattutto come progetto per la ricostruzione di una democrazia effettiva e non meramente formale. I “principi fondamentali”, che costituiscono il nucleo essenziale e forte della carta dei valori, disegnano una società buona, solidale, rispettosa delle differenze; rileviamo, con amarezza e sgomento, che i nostri padri costituenti di certo si prefiguravano una società ben diversa da quella attuale, chiusa su se stessa, egoista e diffidente, spaventata dalle diversità.
Quel “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale” che costituisce l’incipit dell’art. 3 (giustamente considerato dagli studiosi il “capolavoro istituzionale” della Carta) enuncia le garanzie fondamentali della persona (“senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”) assegnando alla Giurisdizione, ai suoi soggetti ed alle sue regole, la responsabilità di assicurarne l’eguaglianza “davanti alla legge”. In questo contesto, non è un caso che quello della Giustizia sia l’unico Ministro espressamente menzionato nella nostra Carta Costituzionale; perché è al Ministro della Giustizia che è assegnato il compito, essenziale per la tenuta di tutto l’impianto costituzionale, di assicurare che la Giurisdizione (la scriviamo, volutamente, con la G maiuscola) possa assolvere a quella responsabilità.
E’ compito del Parlamento difendere e tutelare la Giurisdizione; ed è un compito che va ben oltre quello, previsto dall’art. 110, che impone al Ministro della Giustizia di assicurare “l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”, perché la Giurisdizione si difende e si tutela non solo rispettandone la sua funzione, le sue prerogative, le sue regole ed i suoi protagonisti ma anche preservandola dalle dinamiche della ricerca a tutti i costi del consenso elettorale, che troppo spesso tracima, pericolosamente, nel populismo.